Nella letteratura occidentale l’immagine della farfalla ricorre con frequenza, assunta generalmente a simbolo di bellezza, grazia, rinascita, metamorfosi. La cultura greca, come noto, utilizzava lo stesso termine (psyché) per riferirsi all’anima dell’uomo e alla farfalla, ma già presso le civiltà minoica e micenea sono attestate decorazioni funerarie con tema di farfalla, segno dell’esistenza di un nesso tra la dimensione spirituale, ultraterrena, dell’umano e la forma di questo animale.
Il mito di Psiche e Amore, con il suo portato di trasformazioni, metamorfosi, bellezza e immortalità, è luogo classico di riflessione sulla forma “farfalla”. All’interno del contesto di lingua latina, Apuleio, nel II secolo dopo Cristo, dedica alle vicende di Psiche e di Amore la parte centrale delle sue Metamorfosi o L'asino d'oro (libri IV, 28-VI, 24):
Psiche è una fanciulla bellissima, la cui bellezza eguaglia quella della dea Venere; per questo Venere, invidiosa, decide di inviarle il proprio figlio, Amore, affinché colpendola con una delle sue frecce la faccia cadere innamorata del più brutto dei mortali. Amore, tuttavia, giunto al cospetto di Psiche, resta incantato dalla grazia della giovane, la sua mente si confonde e, nell’atto di scoccare la freccia, manca il bersaglio colpendo sé stesso. Con ciò, finisce perdutamente innamorato di lei. Per sottrarsi alle ire della madre Venere, Amore decide di tenere segreto il suo sentimento per Psiche: i due si incontrano solo durante la notte e Amore tiene sempre il capo coperto, per non essere riconosciuto. Una notte, tuttavia, Psiche approfitta del sonno di Amore per scoprirne il volto, ne contempla i tratti al lume di una lampada ma – tanto rapita dalla sua bellezza – per disattenzione lascia cadere una goccia d’olio su Amore, che si risveglia e, resosi conto dell’accaduto, fugge via. Venere, avvertita dei fatti, interviene immediatamente per punire Psiche. La fanciulla è sottoposta a una serie di prove assai ardue, inclusa una discesa agli Inferi, prima di riuscire a riconquistare la possibilità di vedere l’amato e stare con lui; al termine di esse – in un percorso di trasformazione, metamorfosi e rinascita che schiude infine allo stadio di “farfalla” adulta e veramente bella – Psiche ottiene l’immortalità dagli dei e con ciò il diritto di restare accanto al suo Amore per sempre.
Attraverso la mediazione greca e latina, questa identificazione della farfalla con l’anima umana viene assorbita dal cristianesimo e, più in generale, dalla cultura medievale, che associa alla farfalla il valore di simbolo di rinascita, di immortalità dello spirito, di passaggio dalla condizione di peccato dell’anima (il bruco o verme) alla condizione di beatitudine (la farfalla angelica).
È in questi termini, ad esempio, che va intesa l’unica occorrenza del termine “farfalla” nella Commedia Dantesca, precisamente in Purgatorio X 125: “non v'accorgete voi che noi siam vermi / nati a formar l'angelica farfalla, che vola a la giustizia sanza schermi?”. Qui, Dante usa il termine farfalla in senso figurato; le immagini del bruco/verme e della farfalla, infatti, gli servono per contrapporre l'imperfezione dell'uomo vivo (il verme, che è immerso nel mondo diveniente dei sensi) alla perfezione dell’anima immortale, che senza filtri o schermi ha guadagnato la propria autentica natura beata.
Questa sezione, che si arricchirà di sempre nuovi inserimenti e nuovi riferimenti bibliografici, intende censire senza pretesa di esaustività la presenza dell’immagine della farfalla nella letteratura europea moderna e contemporanea in prosa e in poesia, con particolare riferimento alla produzione letteraria di lingua italiana.